José Sanléon
Cartografias de taller
16 gennaio 2008
José Sanleón torna a Roma dopo una lunga assenza. La sua ultima mostra nella capitale risale infatti al 1997 e quelle ancora precedenti a circa un decennio prima: il 1986 e il 1989.
Quattro momenti formalmente distinti del suo lavoro che a prima impressione potrebbero farci pensare a grossi cambiamenti anche sul piano dei contenuti e invece, ad una lettura più attenta, non sfuggono le affinità “concettuali” sottese ai tre “cicli” presentati in Italia presso la galleria De Crescenzo prima e De Crescenzo & Viesti poi.
Nella sua prima mostra italiana, José Sanleón, presenta una serie di lavori volti ad indagare la tematica materica e segnica della pittura attraverso riferimenti storici rivolti principalmente alla ricerca informale europea. In questo momento rivolge la sua attenzione ad una decostruzione del linguaggio pittorico e ad una libertà espressiva del segno che saranno di fondamentale importanza nei passi successivi della sua produzione.
A distanza di tre anni, 1989, ritorna in Italia proponendo una riflessione completamente nuova che agisce sulla qualità del segno: gli istinti che prima alimentavano la sua pittura, adesso si placano aprendosi e dilatandosi al punto che, attraverso una maggiore razionalità, trovano equilibrio in un ordine elementare.
Dieci anni più tardi, nella sua successiva personale romana, espone opere che presentano un linguaggio diverso: dalla fase di decostruzione è passato a quella di costruzione aggiungendo alla spazialità piatta della superficie pittorica immagini fotografiche, personali o di città. Inizia allora una fase di più complessa sensorialità e di straordinaria polimatericità attraverso la quale intende ripercorrere le tappe di un’esperienza personale: il viaggio nella memoria dei suoi ricordi e delle sue esperienze di vita, ma anche il viaggio inteso come vero e proprio spostamento.
Sanleón è infatti affascinato dalle città e dalle complesse potenzialità della loro forma. Le città diventano mappe, sentieri, e infine labirinti, metafora della complessità della vita.
Con l’installazione presso l’Almodì di Valencia – un labirinto che mette potentemente in gioco i sensi di chi ne fruisce – egli apre ad una fase in cui il tema del paesaggio si fa più chiaramente esplicito.
Infatti, se inizialmente era un esperienza intima, quasi esclusivamente mentale, ora diventa una vera e propria dichiarazione di intenti, almeno agli occhi dell’osservatore.
Sanleón dichiara infatti che non si sente pittore “paesaggista” ma che il paesaggio è solo un mezzo per indagare le potenzialità dell’arte.
Effettivamente dal 1997 in poi la tensione emotiva implicita nelle sue opere aumenta al punto che ogni residuo di immagine viene completamente eliminato a favore di un lavoro in cui il segno astratto, a volte più caotico a volte più controllato, mantiene comunque un legame con la memoria dell’artista.