Alessandra Abruzzese, Arturo Casanova, Martino Coppes, Chiara Dynys, Peter Friedl, Paola Lo Sciuto, Franco Rasma, Simonj Reilly, Marcus Schaller, Helmut Schober, Adrian Tranquilli
Platone in the Mirror
25 novembre 2001
INAUGURAZIONE MARTEDì 20 NOVEMBRE 2001 ORE 19.
PLATONE IN THE MIRROR è una mostra che ha lo scopo di indagare i rapporti fra i differenti livelli della percezione. In un momento in cui le diverse visioni dell’esistenza assumono degli aspetti drammatici dell’estremizzazione, l’arte ha l’obbligo di dire delle cose non soltanto nella concezione estetica della vita ma, soprattutto, di funzionare da punto di riferimento. Per questo motivo la mostra si basa su dei concetti speculativi che hanno una funzione importante nei nuovi modi dell’esistenza: la centralità dell’umano, le chiavi interpretative, le porte (ovvero gli specchi intesi come tali) che permettono la comunicazione fra i differenti livelli della visione.
Nella mostra saranno esposte opere di:
Alessandra Abruzzese, Arturo Casanova, Martino Coppes, Chiara Dynys, Peter Friedl, Paola Lo Sciuto, Franco Rasma, Simon Reilly, Marcus Schaller, Helmut Schober, Peter Schoolwert ed Adrian Tranquilli. La mostra è a cura di Massimo Sgroi.
PLATONE IN THE MIRROR
La trasformazione degli spazi percettivi ha stravolto la nostra cognizione empirica del mondo. E, se per Platone la sua caverna era uno spazio simbolico, il modello di spazio virtuale rappresenta una forma sostanziale simbolica ed ibrida.
La rappresentazione delle iperrealtà crea una serie di inter/mediazioni nel rapporto tra I’oggetto esistente ed il soggetto percepente che si confondono I’uno con I’altro.
Nell’ibridazione di questa relazione lo spazio virtuale ed il terminale umano interagiscono a vicenda creando una equazione parametrica perversa in cui il risultato finale è la mutazione perpetua. Cambia, anzi si stravolge, il rapporto che il nostro corpo ha con lo spazio, vivendo, infatti, in una perenne condizione di interfaccia elettronico, laddove gli impulsi sinattici hanno come terminale I’astrazione figurata della virtualità. Per quanto strano possa sembrare, quella che normalmente viene definita da scrittori come Gibson o Sterling matrice somiglia più al concetto di spazio strutturante di Aristotele che non quello “a priori” di Kant. E gli angeli messaggeri la percorrono in lungo ed in largo dotati di una sostanza incorporea; non è casuale the Pierre Levy la rappresenti come una coreografia dei corpi angelici, figure immateriali the esistono da entrambi i lati dello specchio. D’altra parte, esso è anche popolato di mostri, esseri tattili ed avvolgenti the in un rapporto di violenta fascinazione e repulsione sconvolge il transfert consueto tra mente e corpo apportando i parametri virali dell’informazione
cibernetica. II dramma è che troppo spesso l’uomo scambia le immagini che scorrono sul muro della caverna (lo schermo) per la verità degli oggetti, per questo motivo la vita ha la stessa consistenza (e magia) delle immagini che scorrono sulla parete. La trappola è soddisfazione dei sensi e sonno della ragione. Cosa accade, allora, quando le ombre e gli oggetti veri e propri fanno tutti parte della stessa realtà? Allorchè ciò che è verità assiomatica consolidata (come la morte) appartiene solo ad uno dei lati dello specchio ma non all’intero duale?
Quando I’anatomia della decomposizione viene sostituita da impulsi di pura intelligenza dematerializzata? L’intera metafisica della concezione occidentale viene proiettata nello specchio (o sullo schermo) ed essa esiste dentro e fuori di noi in una sorta di delirio elettronico discendente della mutazione antropologica. Come sostiene lain Chambers: “La sostanza inanimata del silicone e dei circuiti, animata dall’elettricità, fa rivivere il nostro doppio e con esso la promessa di eternità in qualche banca dati o altro.”
Nello splendente paesaggio elettronico il sistema nervoso viene esternizzato come se i mondi esterni e quelli interni delI’umano apparissero rovesciati, appunto allo specchio. Gli stimoli allora, appaiono come “lcone neuroniche sulle autostrade spinali”. Tutti sono elementi difettosi di un sistema nervoso centrale.
Nonostante ciò Alice sguazza nello spleen delle meraviglie come se tutto fosse realtà; artisti voyeur vivono di immagine e di archetipi sovrapponendoli o meglio rendendoli omogenei, passando attraverso lo specchio di Platone, in un luogo dove, in fondo, non facciamo the rimembrare ciò che già è, dove conoscere è ricordare e dove pure I’ignorante schiavo di Menone riesce a recuperare dal suo inner space I’opinione Vera.
Fare arte è, allora, ripercorrere i sentieri della memoria ricostruendo I’ordine oggettivo delle cose attraversando lo specchio e completandosi nella nuova forma dell’umano. Non è cosi importante se la caverna sia di nuda roccia e di immateriale sintesi elettronica, se a ricordare sia Roy Baty della serie Nexus 6 o lo schiavo di Menone. C’e un passaggio in Total Recall di Philip Dick in cui lo scrittore americano sostiene che chiunque abbia memoria sia umano. Chiunque può attingere alla enorme data-bank che Platone chiama Natura, in una
misterica partecipazione ad un mondo differente a quello della nostra esperienza sensibile, origine (archè) delle nostre conoscenze innate e, poi, perduto e recuperato soltanto attraverso il sublime atto creativo. Al di là delle logiche di mercato, della merce-arte (che è, attualmente, nè più e ne meno di una rappresentazione figurata della merce-dato) resta il mistero della rappresentazione artistica; mimesis di idee assolute, il resto sono solo èidola (fantasmi) nella rete.
Massimo Sgroi