Fausto Melotti
Trappolando
20 marzo – 5 maggio 2017
La mostra è accompagnata da un catalogo di 240 pagine (Silvana editoriale), con testi di Sara Fontana, Ilaria Despina Bozzi, Marco Tonelli e Lorenzo Fiorucci.
Il titolo Trappolare deriva da una frase pronunciata da Melotti all’indomani del precipitare degli eventi bellici e della distruzione del suo studio di Milano: “Mi sono messo, se non proprio a lavorare, a trappolare. Ho un po’ di creta e faccio delle testine grosse come un pugno. Ma mi organizzerò meglio”.
Melotti definì la ceramica come un pasticcio, una cosa anfibia, forse per evidenziare la sfida a cui essa ogni volta sottopone il suo artefice, ma le numerose opere da lui realizzate restano oggi come testimonianza del suo interesse verso questo medium.
Un nucleo di opere testimonia la rinascita artistica e creativa di Melotti all’indomani del secondo conflitto mondiale, quando la completa distruzione dello studio milanese lo spinge verso una produzione quasi frenetica di ceramiche e di sculture in terracotta, proseguita per circa quindici anni con inatteso successo ma senza alcuna eco critica. L’artista dà vita a una serie di invenzioni poetiche originalissime – vasi sole, vasi luna, vasi pesce, vasi gallo, vasi pavone, le grandi figure femminili dette Kore – e parallelamente intensifica la collaborazione con Gio Ponti in alcuni importanti interventi decorativi su vasta scala.
È un periodo magico e vitale, documentato in mostra da un cospicuo gruppo di opere realizzate negli anni 50′, sempre in ceramica smaltata, testimonianza della varietà di soluzioni cromatiche e iconografiche escogitate dall’artista roveretano in quegli anni. Sono opere fortemente evocative. Originate da un sogno, da un ricordo o da un’idea, esse raccontano con nuove forme gli antichi miti e le credenze popolari, l’amore per la natura in tutte le sue forme e la passione per la musica. Della ricchissima poetica dell’artista esse svelano sia l’aspetto più espressivo e colorato, scaturito dall’amore per una materia indomabile, sia l’aspetto più riflessivo e minimalista, tradotto in una scultura sempre leggera e rigorosa.
Dopo i primi riconoscimenti critici per le opere astratte degli anni Trenta e l’intensificarsi dell’attività grafica negli anni Sessanta, il decennio successivo è rappresentato da alcuni bassorilievi in gesso dalle delicate cromie, formelle quadrangolari in creta o in gesso, memori delle candide formelle plasmate da Melotti nell’immediato dopoguerra, ma ora evocanti paesaggi, figure e architetture musicali.
Il percorso espositivo include anche due nuclei di fotografie inedite realizzate da Vittorio Pigazzini (Monza 1929) e da Toni Thorimbert (Losanna 1957).