Mirko Basaldella
Opere 1939 – 1969
25 febbraio – 30 aprile
Il 25 febbraio 2019, la Galleria De Crescenzo & Viesti inaugura la mostra di Mirko Basaldella con 24 opere che documentano l’intero percorso artistico dello scultore: dall’esordio nella Roma degli anni ’30 agli ultimi lavori in bronzo e in legno degli anni ’60, ad alcune grandi carte dell’immediato dopoguerra. La mostra è a cura di Enrico Mascelloni.
Mirko appartiene al ristretto gruppo dei grandi scultori del ‘900. Il suo noviziato romano nel contesto della Galleria La Cometa animata da De Libero e da Cagli lo impose, sebbene giovanissimo, all’attenzione del milieu artistico, grazie a una serie di opere in bronzo che riproponevano, attraverso un modellato nervoso e vibrante, i grandi temi della mitologia mediterranea. Di questa fase verranno esposte tre sculture in bronzo dei tardi anni ’30. Nell’immediato dopoguerra e sino agli anni ’60 comincia un’esplorazione sistematica e inesausta di soluzioni scultoree inedite: dal fitto reticolo segnico il cui esito più noto è il grande Cancello per le Fosse Ardeatine, ma che è indagato anche in grandi opere su carta che qui presentiamo in due esemplari, a figure d’imponenza totemica realizzate con sorprendenti soluzioni modulari o attraverso una polarità di pieni e vuoti attraversati da fili tesi e sottili. La mostra si incentra su queste opere, presentando 22 sculture in bronzo di dimensioni grandi e medie, insieme a un gruppo di bozzetti di ridotto formato. E’ manifesta l’attenzione per culture non occidentali variegate e allora ignote in Italia, come la scultura totemica degli indiani americani e quella delle isole dei mari del sud, insieme a sontuose culture orientali di provenienza mesopotamica e cinese, di cui resta traccia in alcuni bronzi tatuati presenti in mostra.
La rassegna metterà in evidenza, oltre alla ben nota tendenza di Mirko a lavorare per logiche multiple, che gli è valsa l’ambigua fama di eclettico, anche la profonda coerenza di tutto il suo percorso artistico: “In opere quali Totem del 1955 o Il fenicio del 1958 il volume viene svuotato dall’interno, laddove negli anni ’30 sembrava liquefarsi come in Strage degli innocenti o nella inquietante Figura danzante. La coerenza profonda di Mirko sta proprio nella consapevolezza di una crisi che aggredisce la sostanza della scultura occidentale, la sua volumetria possente, la sua misura celebrativa e monumentale. E’ lì che la scultura era rimasta “lingua morta”. E’ lì che la migliore plastica romana, e Mirko con essa, lavora in profondità come un acido corrosivo sin dall’esordio e senza mai mollare la presa. E’ in tale radicalità linguistica che egli immette sostanza politica.” (Enrico Mascelloni, dal testo che introduce la mostra)